Vita da Winemaker
di Paolo Valente
22 luglio 2022
Rispetto per l’ambiente, empatia con il produttore ma soprattutto amore per il territorio. «Il bello di fare l’enologo è quello di lasciar esprimere un territorio»
Tratto da Viniplus di Lombardia – N° 22 Maggio 2022
Come è nata la tua passione per il vino e la decisione di diventare enologo?
Ho studiato agraria a Treviglio e l’approccio al mondo del vino è avvenuto proprio a scuola; cosa strana, se vogliamo, perché Treviglio non è un’area vocata al vino. Durante il quinto anno di agraria venivano tenuti dei laboratori e io mi iscrissi a quello sulla microvinificazione: la scuola comprava 10 quintali di uva e produceva il suo vino. È stato il mio primo contatto; quello che ha fatto nascere in me l’interesse per questo mondo sebbene fuori dalla tradizione della mia famiglia.
Interesse però inizialmente accantonato…
Infatti, finiti gli studi superiori ho lavorato per un anno in un salumificio ma a un certo punto mi sono chiesto se quella fosse la mia strada. Decisi che avrei fatto qualcosa di diverso, qualcosa per cui avevo studiato. Avevo due alternative: il mondo del latte o il vino. In quell’epoca il latte era in crisi e quindi mi sono rivolto al mondo del vino. Ho dato le dimissioni e mi sono iscritto all’Università con grande motivazione. Volevo concludere il percorso di enologia in tempi brevi perché avevo voglia lavorare il più presto possibile.
Quando hai cominciato veramente a “mettere le mani in pasta”?
Per il tirocinio del secondo anno ho scelto una zona spumantistica, e la più vicina era la Franciacorta. Per mia fortuna, ho fatto il tirocinio da Barone Pizzini. L’anno successivo, mi hanno richiamato per fare nuovamente la stagione. E sono ritornato. Il contratto, da stagionale, si è poi trasformato in contratto a tempo indeterminato ancora prima di laurearmi. Sono contento di essere rimasto. Barone Pizzini è un’azienda biologica, la prima a credere nel bio in Franciacorta e io ne ho sposato fin da subito la filosofia.